Riportiamo la recensione di Luciano Moro, psicologo e psicoterapeuta.
Manuale di sopravvivenza per il vivente: oltre il punto di frattura
“Sostenibile / insostenibile”. Strano equilibrio, profondo dilemma, apparentemente irrisolvibile questione… Ecco venirci in soccorso un piccolo e grande, ambizioso, libro / un nuovo essenziale ed apparentemente smilzo “Manuale di sopravvivenza”, destinato all’intero “Bios”, al regno del “vivente” tout-court; quasi un manifesto lasciato in eredità (e destino) alla nostra residua umanità e innanzitutto alla nostra condizione biologica specie specifica di “esseri auto-poietici” – scriverebbe Giorgio Cesarano sulle tracce di Raoul Vaneigem (due veri autentici giganti perduti tra altre mille inutili ed inessenziali produzioni editoriali, eppure… anche un nano sulle spalle di tali giganti…) ma non abbiate dubbi; i nostri autori, Luigi D’Elia e Nora Sophie Nicolaus, hanno spalle sufficientemente larghe e studi ben solidi, e quanto meno una vista lunga ed una messa a fuoco assai precisa e puntuale.
Ecco niente meno cosa, sotto forma di un agile testo, ci viene proposto in aiuto, a noi e alle future generazioni, sempre con alacre e modesta fermezza, con gesto benevole ed accorto, compattati da uno scorrevole indice, e poche agili note, ma con una solerte e inderogabile senso di urgenza. Un piccolo libro che al di là della sua inquietante foto di copertina e il suo titolo, raccoglie mille aggiornate e puntuali considerazioni; tutte espresse con una prosa pacata, non troppo ricercata né eccessivamente tecnica, rendendo fruibili e coerenti innumerevoli contributi molto ben documentati, e con una prosodia assai lineare e stringente, financo ‘ragionevole’ e ben articolata, non solo esprime dubbi laceranti, ma propone gli strumenti fondamentali per cercare di contenere (senza eccessi negazionismi e rifiuti) la nostra angoscia di specie, in una antropologia umana rinnovata, che con toni sommessi e del tutto condivisibili, sia in grado di tracciare una nuova ontologia del “vivente”; ridandoci dignità, “amore di specie” ed un ragionevole senso di appartenenza ad un comune destino, delineando i nostri limiti e nuovi confini alla nostra condizione di un mancato e fortunoso ultimo definitivo spill-over, leggi definitiva caduta nel regno del post-umano (qui l’abisso, in cui non dobbiamo possibilmente saltare).
Degli specialisti della psiche e degli attenti osservatori del sociale (il “Male dell’essere”, Kaës, come non definitiva espressione di disagio della nostra ineducata civiltà) si sono posti l’ ambizioso quanto necessario e stringente problema di cercare di approntare un apparato ed un metodo bio-psico-antropologico finalmente ambizioso ed all’altezza dei nostri sciagurati tempi (ora o forse mai più), atto a catturare i sogni profondi della nostra specie, oltre ogni metafisica e misticismo, fornendo ancora una ultima chance di questo inizio millennio per dare senso alla nostra “spinta ad esistere”. Una tensione biologica ed antropologica, che coniuga l’urgenza e la spinta millenaria di complicarsi biologicamente e culturalmente lungo le generazioni con l’inarrestabile necessità di dotarsi di strumenti protesici atti alla sua/nostra sopravvivenza, nel tentativo rivelatosi tutto sommato fallimentare per ora di esercitare un controllo sulla realtà ambientale e sociale nel suo/nostro pur breve tempo della storia.
Warum, perché sopravviverci? Ma soprattutto possiamo farlo a partire dagli strumenti affettivi e cognitivi di cui siamo dotati biologicamente e culturalmente e che sono alla base delle nostre forme di socialità ed esigenze biologiche? Tutto a partire da una constatazione: in fondo siamo già dei “sopravvissuti” negli ultimi 80-20.000 anni, unico ramo di almeno altre 4 specie di ominidi, che si sono nel frattempo già estinti e con cui forse siamo anche venuti a contatto. Stirpe di Caino, Homo sapiens, ominidorum lupus. Quali sono i nostri miti, lasciatici in eredità dalla nostra specie, le nostre narrative più o meno suggestive e comuni, raccolti attorno ai piccoli fuochi e ridipinte nelle grotte, quali i canti, le ninna-nanne trasmesse, di quella che dovrebbe ancora essere l’alba dell’ uomo, e forse per mancanza di sufficiente fiducia nella nostra creatività e capacità di fiducia nelle nostre risorse biologiche, si sta girando verso una notte sconsolata e buia, messa in crisi più dai nostri bias cognitivi che dalle imperfezioni delle nostre realtà tecnologiche o trasmissioni generazionali?
La nostra condizione sulla terra, di specie destinata dalla sua indubbia arroganza ad essere dominante sulla terra, pare essersi fatta improvvisamente assai precaria, eccentrica, ed ultimamente radicalmente messa in questione; abbiamo in effetti appena toccato con mano la potenza di un invisibile virus, a detta di qualcuno poco più di una influenza, o ci potremmo domandare più seriamente se anche non basteremmo noi da soli con le nostre armi a farci fuori tra di noi e una volta per sempre. Forse noi siamo un errore, un trascurabile ramo manifestamente non necessario apparso sulla faccia del pianeta, un pianeta prima o poi in grado di tornare azzurro. Un destino impersonale ci attende forse per rendere trascurabile ed immemore di quell’ “Amore di specie” (non del tutto egocentrico) che dovrebbe portarci alla collaborazione essenziale alla sopravvivenza (“Ma l’ amor mio non muore”).
“Thanatos” primigenio, che impone il suo sigillo di morte ci condanna da sempre alla violenza di aver ereditato le nostre spinta “egoistiche” più cieche e apparentemente più egotiche-personali senza nessuna capacità di previdenza e preoccupazione per il nostro comune destino di esseri sociali e comunitari. Esiste una comunità umana votata alla verità, al bene e alla giustizia, emozioni inestirpabili alla nostra esperienza infantile del mondo, residuo della nostra dipendenza ed esperienza di accudimento pre-verbale e proto-mentale, sedimento della nostra umanità? Oppure l’iper sviluppo di Comunità Tecnocratiche votate a-finalisticamente alla efficienza e ad un continuo rimodellamento ed assorbimento di tutte le energie disponibili atte alla sua incessante replica, che non tenga più conto delle nostre inesorabili esigenze vitali (di sonno, di riposo, di relazione, di gioco, di godimento, ecc.). Una società cyborg, di accudimenti artificiali attraverso madri robotiche-filo di ferro in cui tutte le esigenze di accudimento umano, saranno presto sostituiti da ruoli macchinici e affidati sempre più alle c.d. intelligenze robotiche (bisogni di assistenza, compagnia, interazione, attenzione e riconoscimento), mentre noi umani saremmo sempre più destinati a produrre nel buio mega data (apparentemente sempre più immateriali) per la grande matrice universale (assorbente sempre più ogni residua energia proveniente dal nostro sole)?
“Sostenibile” parrebbe al dunque un campanello fin troppo flebile per fare il punto sulla soglia su cui ora stiamo come specie. Una parola leggera e inadeguata a sorreggere un mondo troppo precario in cui si presentano alla nostra esperienza e alle nostre limitate capacità di fare conoscenza oggetti invisibili ed ingombranti, “Gli Iper-oggetti” di cui parlano gli autori, citando Timothy Morton. Quale il punto di resistenza e di inevitabile rottura della rete delle nostre relazioni interurbane, ecologiche ed ambientali (il mondo, Umwelt “natura/cultura”)?
Dal centro di Matrix (dal centro della società dello spettacolo generalizzato e/o di nuovo concentrazionario) può rinascere il sogno della ribellione e della resistenza? Per questo occorre trovare un punto di resistenza e non di resilienza*, un punto in cui far ripartire dalla nostra storia un nuovo racconto della nostra condizione, una leggenda o una legenda, un C’era una volta, o una mappa di una strategia di fuga e di diserzione? Forse quando verità e virtualità hanno perso ogni possibile configurazione bisogna tornare ad una esperienza originaria e fondativa. Dal bagno di immersione nella stanza aneconica di Matrix occorre tornare alla culla dell’uomo, o alla sua nuova alba, là dove rinasce la sua esperienza del mondo e dell’accudimento primario, dove si fondi l’etica del reciproco riconoscimento, dello scambio affettivo e della ri-sintonizzazione interpersonale degli sguardi e dei corpi, mettersi in comune ed assieme alla ricerca dei nostri ritmi biologici più profondi, Una buona/cattiva notizia intanto, pare non sia vero che dormiamo così poco. Semplicemente una nuova insonnia, una nuova lontananza dal desiderio, una incapacità di sognare si è sostituita agli scarti tossici della nostra mancata esperienza di rielaborazione della nostra quotidiana sopravvivenza. Al sogno/sonno si stanno sostituendo incoscienza e stato di coma. Il nostro risveglio inizierà solo attraverso nuovi stati di coscienza, una percezione rinnovata di una mente estesa che ci vincolerà nuovamente al contatto internano, a partire da piccole rinnovate esperienze di comunità umana ritrovata.
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* Gli autori spiegano nel libro molto bene questo punto a (i.m.o. essenziale): “Resistenza” e soprattutto “ resilienza” sono precipui termini della metallurgia (tecnologia del metalli) e non dei sistemi autopoietici. Sostenibile è un punto di equilibrio tra resistenza e punto di rottura di un materiale. Sottoposto ad uno sforzo ed a una tensione si raggiunge inevitabilmente il punto di frattura. Resilienza, corrisponde alla fantasia di una deformazione elastica per cui si ritorna ad un punto di partenza (t zero), in cui non si conserva di fatto nessuna memoria e di conseguenza nessuna esperienza di trasformazione del processo che è avvenuto nel frattempo. Quasi ci fosse una esperienza di costanza senza apprendimento. In natura non esistono esperienze di ritorno ad esattamente tutto come prima. Anzi anche quelli che apparentemente sembrano semplici scambi di informazione tra stati, sono tutti processi anti-entropici, catabolismo ed anabolismo, tra stati che solo apparentemente si svolgono senza scambi di direzione (perdita di energia attraverso la dispersione di calore). Vedi Carlo Rovelli, ad es. L’ “Ordine del tempo” e “Buchi bianchi”.
Insomma anche se ci mangiamo l’uno con l’altro, in natura non esistono pasti gratis, ma siamo in un eterno scambio e debito reciproco (relazione di dono, di materia e di senso, valore) con il mondo.
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